Cedolare secca 26 per cento affitti brevi

Cedolare secca 26 per cento affitti brevi.

Nel 2025 il dibattito sugli affitti brevi turistici torna al centro della scena.

La Legge di Bilancio nel 2024 (Legge n. 213/2023) ha introdotto un cambiamento significativo: l’aumento dell’aliquota della cedolare secca dal 21% al 26% per chi affitta più di un immobile con contratti di breve durata, inferiori a 30 giorni.


Una misura che, pur mascherata da semplice “riequilibrio fiscale”, incide in profondità su un settore che ha sostenuto migliaia di piccoli proprietari e alimentato l’economia turistica urbana.

Cedolare secca affitti brevi: cosa cambia dal 2024

Dal 1° gennaio 2024 le regole per la tassazione delle locazioni brevi sono cambiate.
La nuova norma prevede che:

  • per una sola unità immobiliare concessa in locazione breve, resta valida l’aliquota agevolata del 21%;

  • per la seconda abitazione e successive, la cedolare secca sale al 26%;

  • la misura si applica alle locazioni di durata non superiore a 30 giorni, stipulate da persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa;

  • rientrano nel regime anche gli affitti intermediati da portali digitali come Airbnb, Booking o da agenzie immobiliari.

Secondo le stime del MEF, l’aumento dovrebbe generare oltre 100 milioni di euro di gettito aggiuntivo l’anno. Ma a pagare saranno soprattutto i proprietari che avevano trovato nell’affitto breve una forma flessibile di reddito e una modalità per valorizzare le seconde case.

Una scelta fiscale che pesa su migliaia di piccoli proprietari

Dietro la retorica della “giustizia fiscale” si nasconde un effetto concreto: il colpo di freno a un comparto che aveva trovato equilibrio dopo anni di espansione.
La misura colpisce circa mezzo milione di case vacanza distribuite tra grandi città e località turistiche, dove il mercato degli affitti brevi rappresentava una parte vitale dell’offerta ricettiva.

Per chi affitta più di un immobile, la differenza non è trascurabile.
Il passaggio dal 21% al 26% equivale a un aumento del 24% del carico fiscale.


In pratica, su 10.000 euro di reddito da locazione, il proprietario pagherà 2.600 euro anziché 2.100. Una differenza che, sommata ai costi di gestione, può rendere molti investimenti turistici poco convenienti.

Gli effetti economici: meno convenienza, più rischio evasione

Il governo motiva la misura come tentativo di riportare sul mercato tradizionale parte del patrimonio immobiliare oggi destinato agli affitti turistici. Tuttavia, l’ipotesi che l’aumento della tassazione spinga i proprietari verso l’affitto ordinario è tutt’altro che certa.

Molti piccoli locatori, che gestivano una o due case tramite agenzie o piattaforme online, potrebbero semplicemente ridurre l’attività o scegliere vie informali, alimentando il mercato sommerso.


Inoltre, si rischia di penalizzare l’intera filiera dei servizi collegati, property manager, imprese di pulizia, manutentori, fotografi, intermediari, che negli ultimi anni aveva creato valore e occupazione locale.

Come spesso accade, una misura nata per regolare rischia di disincentivare proprio chi operava in modo trasparente, lasciando spazio all’improvvisazione o al sommerso.

Gli affitti brevi tra fiscalità e rigenerazione urbana

In realtà, la discussione sugli affitti brevi non è solo fiscale: è anche urbanistica e sociale.
Da tempo, molte città italiane si interrogano su come gestire il rapporto tra turismo e residenzialità, tra centro storico vissuto e centro turistico affollato.


La stretta fiscale è anche un segnale politico, che mira a limitare la pressione turistica nei quartieri più congestionati. Ma va ricordato che l’affitto breve non è solo un business: è anche uno strumento di valorizzazione di immobili rigenerati, spesso frutto di interventi privati su spazi rimasti inutilizzati.

In questa prospettiva, Immobiliare Santalfredo, che da anni promuove la rigenerazione di immobili dismessi e la riqualificazione del patrimonio residenziale, come nel progetto di Cascina Santa Maria ad Arcore o in Piazza Castellana a Vimercate, interpreta questa fase come un passaggio chiave:
trasformare un cambiamento fiscale in un’opportunità di ripensamento, orientando i proprietari verso modelli di locazione più stabili, sostenibili e integrati nel tessuto urbano.

Conviene ancora l’affitto breve nel 2025?

Dipende dal profilo del proprietario e dal numero di immobili gestiti.
Chi affitta una sola abitazione, mantenendo l’aliquota al 21%, può continuare a trarre beneficio da un regime competitivo e snello.
Chi invece possiede due o più immobili deve ricalcolare la convenienza:

  • Affitto breve: più flessibile, ma con tassazione più alta e burocrazia crescente (Codice Identificativo Nazionale, controlli, ritenute da parte delle piattaforme).

  • Affitto ordinario: minore redditività, ma maggiore stabilità e aliquote invariabili (21% o 10% con canone concordato).

  • Vendita o riqualificazione: per immobili poco redditizi, può diventare la soluzione più razionale, soprattutto se finalizzata a progetti di rigenerazione o nuovi investimenti.

In sintesi, l’affitto breve resta una formula interessante solo se gestita in modo professionale, con una chiara visione economica e un controllo preciso dei costi.

Come orientarsi oggi: i consigli pratici

  1. Verificare la posizione fiscale: il limite del 21% vale solo per un immobile. Dal secondo in poi, cedolare secca al 26%.

  1. Analizzare la convenienza netta: considerare costi, tasse e tempo di gestione per valutare se il rendimento resta competitivo.

  1. Valutare soluzioni ibride: alcuni proprietari scelgono di alternare periodi di locazione breve e affitto transitorio (6-18 mesi) per ottimizzare redditività e stabilità.

  1. Affidarsi a consulenti qualificati: un’agenzia immobiliare esperta può aiutare a ridefinire la strategia in base al nuovo contesto normativo.

  1. Pensare al lungo periodo: trasformare un immobile in un bene stabile, rigenerato e abitabile può generare valore reale, oltre la mera rendita turistica.

Il mercato immobiliare italiano sta cambiando direzione: più controllo, meno improvvisazione.
Per i proprietari, la vera sfida oggi non è evitare la tassa, ma scegliere modelli sostenibili di reddito immobiliare.


Questo scenario richiede competenze trasversali e visione d’insieme: conoscere la normativa, leggere i segnali del mercato e trasformare gli obblighi fiscali in decisioni consapevoli e lungimiranti.

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