Chi vive al piano terra paga l’ascensore?

Chi vive al piano terra paga l’ascensore?

Ascensore condominiale: anche chi vive al piano terra deve pagare?

In ogni condominio italiano, prima o poi, la domanda emerge: “Perché devo contribuire alle spese dell’ascensore se vivo al piano terra e non lo utilizzo?”
È una questione che non riguarda solo la ripartizione dei costi, ma il senso stesso del vivere in condominio: condividere non l’uso, ma il valore.

L’ascensore, infatti, non è un lusso. È un elemento strutturale e funzionale dell’edificio, un bene comune che incide sul valore patrimoniale delle singole unità. E il diritto, con la sua lente razionale, ha tradotto questa evidenza in norme precise.

Il principio di riferimento: l’art. 1124 del Codice Civile

Il cuore della disciplina è l’articolo 1124 del Codice Civile, riformato nel 2012, che regola la ripartizione delle spese per scale e ascensori.


Il testo stabilisce che i costi di manutenzione e ricostruzione vanno suddivisi per metà in proporzione al valore millesimale di ciascuna unità immobiliare e per l’altra metà in base all’altezza del piano rispetto al suolo.


È una norma di equilibrio: non tiene conto dell’uso soggettivo, ma del vantaggio oggettivo che ogni unità trae dall’esistenza dell’impianto.

Il condomino del piano terra, dunque, non è esente per principio, ma la sua quota è minima.

Non perché non lo usi, ma perché ne trae un beneficio patrimoniale indiretto: l’ascensore accresce il valore dell’immobile, facilita le vendite, amplia la platea di potenziali acquirenti.
La legge tutela proprio questo principio: il beneficio, non l’abitudine.

Il valore come misura dell’equità

La giurisprudenza ha più volte chiarito che il criterio non è l’uso effettivo, ma l’utilità potenziale.
Una sentenza della Corte di Cassazione, Sez. II, n. 18477/2010, ha ribadito che «anche il condomino del piano terreno, pur non avvalendosi dell’ascensore, ne trae un’utilità riflessa e deve contribuire alle spese di conservazione e manutenzione».


Altri pronunciamenti (tra cui Cass. civ. n. 16794/2018 e n. 3264/2021) confermano la stessa linea interpretativa: l’esclusione totale è ammessa solo se prevista espressamente da un regolamento contrattuale o da un titolo originariodel condominio.

Il principio economico sotteso è chiaro: un edificio dotato di ascensore vale di più di uno che ne è privo, e questo incremento di valore riguarda anche le unità a piano terra.
Nei grandi centri urbani, la presenza di un impianto efficiente può incidere sul prezzo di mercato fino al 10–15%.
Ecco perché il legislatore non lega la spesa all’uso, ma alla conservazione del bene comune e al vantaggio complessivo che esso genera.

Il caso dell’installazione successiva

Più complessa è la questione dell’installazione ex novo in edifici che ne sono sprovvisti.
Qui interviene l’art. 1121 c.c., che disciplina le innovazioni condominiali.

L’ascensore rientra tra le innovazioni utili, ossia quelle destinate a migliorare la fruibilità e la sicurezza dell’immobile.
La Cassazione (sent. n. 7938/2017) ha precisato che l’utilità si presume quando l’impianto consente un accesso più agevole, specie a persone con disabilità o anziani.

In questi casi, anche i condomini dei piani bassi sono tenuti a partecipare alle spese di installazione, in quanto l’opera aumenta la funzionalità e il pregio dell’intero fabbricato.

Diverso sarebbe il caso di un’innovazione voluttuaria, ossia puramente estetica o non necessaria: in quel caso la partecipazione non è obbligatoria, ma chi non contribuisce non potrà beneficiare dell’uso dell’impianto.

L’uso e la manutenzione ordinaria: quando può valere l’esonero

La giurisprudenza distingue con rigore tra spese di conservazione e spese di esercizio.
Le prime riguardano la struttura e il mantenimento dell’impianto: tutti devono contribuire, anche chi non lo usa.


Le seconde, come la corrente elettrica, la manutenzione periodica o le riparazioni d’uso possono, in casi eccezionali, essere escluse per chi non utilizza mai l’ascensore, purché ciò sia espressamente previsto da un titolo o deliberato con unanimità.

È una possibilità rara, ma non impossibile.
Tuttavia, l’esonero non è automatico né può essere deciso unilateralmente: deve derivare da una pattuizione contrattuale o da un regolamento di condominio di natura convenzionale, cioè approvato da tutti i proprietari e allegato ai rispettivi atti di acquisto.

Una questione di principio e di convivenza

Alla fine, la questione non è solo giuridica, ma culturale.
La vita condominiale è fondata sul principio della co-responsabilità: si condivide ciò che serve a tutti, anche se non si utilizza ogni giorno.


L’ascensore, come il tetto, le scale o la facciata, è parte di quell’equilibrio architettonico e civile che fa del condominio una comunità regolata e non un insieme di solitudini verticali.

Chi vive al piano terra forse non lo userà mai. Ma vive in un edificio più accessibile, più sicuro, più appetibile sul mercato. E questo, nel linguaggio della legge come in quello del buon senso, ha un valore concreto che va riconosciuto.

Riferimenti normativi e giurisprudenziali

  • Codice Civile, artt. 111711211123 e 1124
  • Cass. Civ., Sez. II, n. 18477/2010
  • Cass. Civ., Sez. II, n. 16794/2018
  • Cass. Civ., Sez. II, n. 3264/2021
  • Cass. Civ., Sez. II, n. 7938/2017
  • Ministero della Giustizia, “Linee guida sulla ripartizione delle spese condominiali”, 2023
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